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Il mestiere della logopedista

AUTRICE: Dott.ssa Ludovica Turchetti

FONTE: presentazione partnership -MAMME A MILANO-

La logopedista si occupa dei disturbi della parola, del linguaggio, della voce e degli apprendimenti.
La cura logopedica mira a portare il soggetto, grande o piccolo, alla “sua normalità” facendo uso degli strumenti e delle tecniche più adeguate e specifiche, poiché ogni rieducazione non è mai uguale a un’altra, ogni caso è singolo nella sua unicità.
Inizialmente la logopedista deve comprendere chi ha davanti, cosa gli sta attorno e in quale modo.
La comprensione fine di tutto ciò che gravita intorno al paziente è fondamentale affinché si possa intraprendere un percorso intelligente e fruttuoso.
Il linguaggio rappresenta il motore dei rapporti umani, non è solo parole, è anche comprensione, pensieri, messaggi scritti, verbali e non verbali, ossia la comunicazione in generale, una dimensione gigantesca fatta di elementi finissimi e profondi.
La logopedista non puo’ solo limitarsi a trattare il disturbo del soggetto in modo strumentale, ma deve conoscere, interiorizzare ed elaborare l’intera realtà che lo circonda, altrimenti la cura sarebbe arida, fredda e incompleta.
Diventare logopedista significa voler sviluppare una serie di facolta’ come l’acume, la sensibilità, l’equilibrio, la pazienza, l’intuito e la fantasia.
La mia docente di università ci diceva sempre: “Se pensate di non avere neanche una piccola parte di queste capacità cambiate immediatamente facoltà…”. E aveva ragione.
Con l’esperienza ho compreso quale tra queste prerogative rappresenti il vertice: l’intuito.
L’intuito fa realizzare in un tempo breve il modo di instaurare un rapporto, il momento in cui invece magari cambiarlo, mutare i tempi, i modi e soprattutto la cura logopedica, a seconda del nuovo bisogno.
La necessità non è mai unica e non è mai sempre uguale, la storia di un paziente, grande o piccolo, cambia molto velocemente e il compito della logopedista è anche quello di essere una buona osservatrice.
Per questo motivo la preparazione della logopedista deve essere sempre completa, aggiornata e precisa, l’approssimazione risulta essere dannosa.
Come per ogni mestiere, occorre anche accettare il momento di difficoltà, di stallo, quella parentesi in cui si puo’ aver l’impressione di essere fermi, di non procedere come il programma richiedeva e come il paziente si aspettava.
Con umiltà la logopedista ha il dovere di rielaborare nuovamente la situazione intera, ristrutturandola da prospettive differenti e da nuovi presupposti, funziona sempre.
La pazienza e la disponibilità nei confronti di chi si affida sono altre prerogative essenziali, infatti una tranquillità di base assicura un terreno efficace su cui lavorare insieme.
Lo scambio di informazioni e di opinioni con gli specialisti o le insegnanti che si occupano del caso risulta essere essenziale ai fini di un buon esito, lavorare in solitudine non è mai efficace.
Occorre ottenere una visione completa della quotidianità’ del paziente, senza di questa l’approccio terapeutico risulta essere superficiale e approssimativo.
Un elemento da combattere costantemente durante la cura logopedica è la noia che puo’ rappresentare il risultato di una terapia impostata senza passione, attenzione e cura.
Ultimamente si parla tanto (troppo) della logopedista, ossia quella figura facente parte di un’equipe prettamente diagnostica in casi di ritardi del linguaggio e disturbi nell’apprendimento scolastico.
In verità la logopedista nasce come riferimento riabilitativo, infatti fino a qualche anno fa semplicemente supportava i bambini “nella fatica”, aiutandoli a superare le difficoltà.
Oggigiorno invece il bambino è più bersaglio diagnostico, infatti si fa tanta attenzione alla diagnosi di uno o più disturbi, ma successivamente molto spesso viene lasciato alle sue difficoltà, senza magari essere più affiancato.
Il risultato è che abbiamo innumerevoli casi di disturbi negli apprendimenti, a partire dai tre anni di vita, spesso senza poter godere di un programma di rieducazione effettivo e per quanto sia possibile, risolutivo.
Da qui nasce purtroppo il principio di iperdiagnosi, sul quale fortunatamente gli specialisti più lungimiranti stanno facendo luce, ossia l’omologazione delle difficoltà dei bambini e spesso la mortificazione delle loro capacità.
La logopedista deve saper cogliere i punti di forza del paziente per impostare un programma che rafforzi la sua autostima e che lo faccia procedere in maniera equilibrata ed efficace.
Alla base di ogni apprendimento esiste sempre un investimento affettivo, questo significa che sia il bambino che l’adulto non procedono se non valorizzati (e questo potrebbe essere un altro articolo…).